VALLI – Il 27 gennaio 1945 è il giorno in cui, alla fine della seconda Guerra Mondiale, i cancelli di Auschwitz vennero abbattuti dalla 60esima armata dell’esercito sovietico.
Oggi, 27 gennaio 2022 è importante ricordare quelle tragiche vicende ripercorrendo vie, paesi, valichi delle Valli di Lanzo. Seguire i sentieri dei “Giusti della Montagna” che con il loro coraggio riuscirono a salvare oltre seicento ebrei dalla ferocia nazi-fascista.
Una pietra d’inciampo a Lanzo per ricordare Moise Poggetto
Dal 1993 l’artista tedesco Günter Demnig ha ideato il progetto delle “pietre di inciampo”. Si tratta di piccoli cubi di pietra che vengono collocati davanti all’ultima abitazione scelta dalla persona che si vuole ricordare. Su ogni pietra sono incisi pochissimi dati: il nome della persona, la data e il luogo di nascita, il luogo e, quando è nota, la data di morte. Fino ad oggi ne sono state installate in Europa più di 70.000. Per ora, questo museo diffuso, si va allargando anche in Italia.
Nel gennaio 2018 è stata posata una pietra d’inciampo in via Umberto I n. 56 a Lanzo per ricordare Moise Poggetto (Olten, 24 maggio 1875 – Auschwitz, 6 agosto 1944) antifascista e partigiano italiano, vittima della Shoah, padre della poetessa e staffetta partigiana Ines Poggetto.
A Ceres la lapide della Comunità Ebraica Italiana
Il 25 aprile del 1999 a Ceres venne inaugurata una lapide, installata sulla facciata del municipio a cura della Comunità Ebraica italiana, che rievocava la funzione ricoperta dalle popolazioni valligiane a protezione dei perseguitati razziali. La lastra, e la pergamena consegnata ad ogni comune, riporta la scritta: “Ricorda! (in ebraico) Durante le tragiche vicende degli anni 1943-1945, in queste valli trovarono rifugio e rinnovata speranza centinaia di ebrei braccati dalla ferocia nazi-fascista. I valligiani con silenzioso eroismo diedero loro protezione e assistenza salvandoli da sorte orrenda nei campi di sterminio. La Comunità Ebraica italiana esprime perpetua riconoscenza, testimoniando che il coraggio e l’amore possono vincere anche la più spietata e criminale violenza”.
Laura Colombo e il documento falso, firmato dal Commissario Prefettizio di Balme, che le salvò la vita
Poco tempo dopo, un’anziana signora consegnò al sindaco di Balme, insieme ad un attestato di gratitudine rivolto ai comuni di Ala e Balme, la copia fotografica di un documento d’identità contraffatto, rilasciatole il 15 aprile 1944 dal Commissario Prefettizio di Balme. La signora Laura Colombo, all’epoca giovane maestra, raccontò: «Il 10 aprile Alessandria era stata bombardata e potevo fingere di aver perso tutto ciò che possedevo. Le mie carte precedenti furono bruciate perché mio padre era stato arrestato a Torino e temevamo che la polizia fosse sulle nostre tracce. Restammo a Balme fino alla liberazione. L’originale del documento è ora allo Iad Vascem, Ente nazionale per la Memoria della Shoah di Gerusalemme, in Israele».
Il documento falsificato che trasformava il cognome Colombo in Caligaris, era firmato da Antonio Dematteis, Commissario Prefettizio in carica in quei problematici frangenti quando, presagendo l’ormai prossimo epilogo, Balme aveva rinunciato ad avvalersi di un podestà.
Già nel giugno del ’43, in risposta ad una dettagliata missiva del questore di Torino che richiedeva inequivocabili informazioni circa la presenza di residenti di razza ebraica e, nel caso, quali fossero le loro tendenze religiose e politiche, il commissario balmese rispondeva sinteticamente a stretto giro: «Nel Comune non vi sono ebrei residenti».
Laura Colombo e la mamma Rita Falco intanto, dal dicembre del ’43 avevano ottenuto un alloggio sicuro in una grande casa dei Cornetti, un ex albergo di proprietà di Antonio Castagneri Bucalìn.
Negli anni in cui la consegna di un ebreo valeva un capitale di cinquemila lire e un chilo di sale, nessuno denunciò le due donne e nemmeno le centinaia di persone che trovandosi in circostanze analoghe si rifugiarono nelle valli: «La povertà di quei montanari – ricordò Laura Colombo – era sconfinata come la bontà dei loro cuori».
Testimonianze delle famiglie ebraiche nelle Valli
«Per capire le ragioni della scelta di molti israeliti di rifugiarsi nelle Valli di Lanzo – spiega Gianni Castagneri, sindaco di Balme – occorre tornare al periodo precedente l’emanazione delle leggi antisemite. Molte famiglie ebraiche infatti, frequentavano da tempo per villeggiatura le località valligiane, fruendo degli alberghi esistenti e acquistando o edificando eleganti ville signorili. Su di un grande masso di pietra ollare del Roc dou Tchapèl, sulla sinistra orografica della valle, tra Ceres ed Ala di Stura, come riporta Francesco Rubat Borel (Ala di Stura, località Laietto. Masso inciso con iscrizione in ebraico, Quaderni di Archeologica del Piemonte n. 4 – 2020, in corso di stampa), si trova inciso in ebraico il verso dei Salmi, 118, 26 (117, 26 nella Vulgata, in traduzione “Benedetto colui che viene nel nome del Signore”). Una seconda iscrizione in ebraico è presente su un masso a circa 1600 m s.l.m., a monte dell’alpeggio Laietto, sopra Mondrone. Nell’iscrizione, si legge רחמים raḥamim, l’attributo divino della misericordia, della compassione. È ipotizzabile che l’autore (o gli autori) delle due iscrizioni in ebraico sia stato uno dei tanti villeggianti delle comunità ebraiche torinese e piemontesi che venivano in villeggiatura nelle Valli.
Nel registro delle tasse di soggiorno riscosse dal comune di Balme nel 1922, riferite all’unico elenco nominativo reperibile di quegli anni nell’archivio storico comunale, compaiono gli appellativi degli individui alloggiati nelle abitazioni del luogo. A luglio sono trascritti quelli della famiglia di Segre Amar Leonello, Margherita, Ida, Sion, di Levi Ernesta, di Anna e Orsola Ottolenghi, di Davide Levi di condizione “agiata”, della famiglia del commerciante Attilio Lattes, con la moglie e i tre figli. Sappiamo però che anche in una casa in cima al capoluogo di Balme, nei pressi dell’albergo Camussòt, attorno alla fine degli anni Venti villeggiavano i facoltosi componenti della famiglia Levi Montalcini, ebrei sefarditi nati e residenti a Torino. Il capofamiglia Adamo Levi, ingegnere matematico e imprenditore di successo, occupava prima della guerra mille operai in una grande fabbrica di ghiaccio e di distillazione dell’alcool dalle carrube. Con lui salivano a Balme la moglie Adele Montalcini, il figlio Luigi (Gino), in seguito affermato scultore e architetto, le sorelle Anna, Paola, pittrice che presto si distinguerà entrando nell’atelier di Felice Casorati, e Rita, propensa a seguire le inclinazioni scientifiche che la porteranno nel 1986 al conseguimento del Nobel per la medicina.
La salvezza attraverso i colli
Alcuni nuclei famigliari, avvalendosi di guide alpine locali, come i componenti della famiglia Ferro Famil Vulpòt, di Domenico Peracchione Pigrissia e molti altri, furono accompagnati attraverso i colli per raggiungere i territori liberati. Un ruolo di spicco l’ebbe il ceresino Attilio Francesetti detto Tiliu, che scortò almeno un centinaio di ebrei dall’albergo Curat di Ceres, dov’erano attivi il vicario, monsignor Filippello e il veterinario Portigliatti, a Forno Alpi Graie e, attraverso il col Girard (m. 3.050), al sicuro, oltre il confine. Nonostante i continui rastrellamenti, grazie anche alla protezione di medici, sacerdoti, funzionari, insegnanti, carabinieri, nessuno di loro venne denunciato.
A Martassina, frazione di Ala di Stura, tra il ’43 e la fine della guerra furono circa 60 gli sfollati ebrei sui 110 abitanti complessivi. Ad Ala molte famiglie, oltreché in abitazioni private, erano ospitate presso il Caffè d’Ala, gestito dalla famiglia Marzano≫.
I Giusti della Montagna al Colle del Lys
Qualche anno fa il Comitato Resistenza Colle del Lys, in collaborazione con il CAI realizzò un progetto intitolato “I Giusti della Montagna” che, oltre alla pubblicazione di un volumetto con alcuni itinerari, prevedeva la posa di pannelli informativi. “Duecento ebrei – viene scritto – riuscirono a salvarsi grazie all’aiuto di chi viveva nelle valli di Lanzo. Non un ebreo fu catturato, nonostante i frequentissimi rastrellamenti e l’occupazione degli ultimi mesi di guerra, nonostante l’appartenenza di padri, figli e figlie alle formazioni partigiane. Non uno perché il profondo sentimento comune si ribellava al crimine orrendo di chi negava il loro diritto d’esistere”.
≪Addirittura, secondo quanto dichiarò Laura Colombo – conclude Castagneri – tenendo conto anche di quanti transitarono o sostarono per breve tempo in zona in attesa di poter valicare le montagne, furono complessivamente circa 600 gli ebrei che riuscirono a salvarsi nelle Valli di Lanzo≫.
Si ringrazia per le immagini e il testo Gianni Castagneri