Il vocabolario costituisce un’opportunità forse irripetibile per avvicinare le generazioni del passato con quelle che giungeranno.
“Parlà a nòsta mòda, oppure parlà barménc: gli abitanti di Balme hanno sempre definito così il proprio dialetto, appartenente al ceppo francoprovenzale e simile, ma mai uguale da paese a paese, talvolta addirittura con varianti di pronuncia tra borgate diverse dello stesso comune. Una parlata che è risuonata nel corso dei secoli, senza mai comparire negli atti ufficiali, scritta solo pochissime volte su pezzi di carta ad uso famigliare, qualche volta incisa in brevissime frasi scolpite nella pietra”.
Da qui l’idea di Gianni Castagneri, sindaco di Balme, di realizzare con la collaborazione di Diego Genta e Claudio Santacroce “Tin-te drèta!”, un vocabolario del patois francoprovenzale di Balme. Un grande e minuzioso lavoro di 256 pagine, edito da Atene del Canavese, con 33 fotografie. Un vocabolario che unisce e avvicina periodi che ci sembrano appartenere al passato, una fusione fra le tradizioni di un tempo e presente che emerge già dalla copertina con il paesaggio in bianco e nero e i personaggi a colori.
L’ABBANDONO DEL DIALETTO HA ACCOMPAGNATO IL DECLINO DELLE PICCOLE COMUNITÀ
«Molte delle ultime generazioni – spiega Gianni Castagneri – sono cresciute con la sensazione che parlare la lingua madre fosse sbagliato e inadeguato, un’impressione amplificata da un’epoca in progressiva trasformazione. L’abbandono del dialetto ha accompagnato il declino delle piccole comunità, ritenuti l’uno e le altre un inutile fardello, ai più incomprensibile. Si è trattato di un fenomeno che ha comportato lo svuotamento delle montagne e la scomparsa talvolta irrimediabile delle peculiarità di un mondo che subiva, svigorito, la trasformazione verso l’incombente modernità. Il patois è divenuto così sinonimo di solitudine, di malinconia e di ciarpame che ostacolava le sorti dei giovani valligiani invitati ad assimilarsi senza esitazioni alle regole imposte dall’attualità. Un’evoluzione allettata dai sapori del consumismo che non poteva accettare le difformità minoritarie resistite eroicamente alla capillarità dello Stato e alle epoche del centralismo più buio.
Ciò nonostante quelle smarrite popolazioni, con un atto introverso e tacitamente rivoluzionario, hanno continuato a trasmettere quella parlata, da sempre utile a indicare il vivere quotidiano in tutti i suoi aspetti, specifico della vita “in verticale” e non sempre riconducibile alla già vasta terminologia nazionale.
TUTELA DELLE MINORANZE LINGUISTICHE
Grazie anche ad una rinnovata considerazione nei confronti delle cosiddette minoranze linguistiche storiche, tutelate dalla tardiva ma pur sempre importante legge 482/99, qualcosa è stato fatto e gli idiomi tradizionali, le testimonianze originali della cultura materiale e l’interesse verso le produzioni di nicchia, son servite a conferire una nuova attestazione di legittimità a ciò che solo qualche decennio prima sembrava orientato ad un destino fin troppo scontato.
In ogni caso oggi risulta difficile trasmettere questo patrimonio. Coloro che conoscevano a fondo l’idioma locale e ne usufruivano in ogni momento della propria occupazione e della vita quotidiana, talvolta non sono più in vita. Negli ultimi decenni si è tuttavia sviluppato un intenso lavoro teso alla rivalutazione del patrimonio culturale locale e con esso ha trovato spazio il timido desiderio di riscoperta e di salvaguardia della lingua originaria, che si compendia con questo contributo.
La complessa analisi e l’ardua trascrizione della parlata balmese, condotta in oltre un decennio di ricerca delle voci, è infine germogliata in un risultato che agli inizi non sembrava immaginabile e tantomeno raggiungibile. Un ulteriore ausilio è derivato dalla ricerca condotta negli anni Trenta del secolo scorso da Angelo Castagneri Barbisìn (1875 – 1935), che in un manoscritto purtroppo compilato parzialmente, aveva avviato la trascrizione della parlata balmese con le analoghe rispondenze in italiano e francese.
Quest’opera infine, è frutto dell’ascolto dei pochi abitanti ancora parlanti, di un’analisi tra piccole differenze di pronuncia a volte appena percettibili e di continui dubbi di trascrizione.
UN VOCABOLARIO PER AVVICINARE LE GENERAZIONI DEL PASSATO A QUELLE CHE VERRANNO
Il vocabolario – conclude Castagneri – costituisce un’opportunità forse irripetibile per avvicinare le generazioni del passato con quelle che giungeranno.
Il dizionario è rivolto proprio a chi verrà dopo di noi, a coloro che non avranno avuto la possibilità di parlare o anche solo ascoltare questi suoni e che in qualche modo potranno, grazie a queste trascrizioni, ricostruirli con sufficiente precisione. La trasmissione dell’idioma rappresenta le fondamenta profonde di un modo di vivere e interpretare il quotidiano che costituisce l’anima stessa della balmesità.
NON UN PUNTO DI ARRIVO…LA RICERCA CONTINUA
Lungi dal voler rappresentare la definitiva consacrazione del vernacolo balmese e nella piena consapevolezza di come il lettore più attento possa ritrovarvi lacune e carenze, questo lavoro si prefigge di divulgarne le peculiarità e soprattutto di diventare una base per ulteriori studi, annotazioni, integrazioni. Non un punto di arrivo, dunque, ma una base sulla quale fondare la ricerca di ulteriori spunti di riflessione e di perfezionamento, per offrire ai balmesi che verranno il quadro più completo dell’espressione viva dei propri avi».